L’importanza di un parto rispettato

Le donne sanno partorire e i bambini sanno nascere, da sempre. Eppure al giorno d’oggi, sembra che donne e bambini non possano più fare a meno dell’aiuto dei medici e della rassicurazione che l’ospedale e gli apparecchi tecnologici forniscono.

Gravidanza e parto sono ormai considerate patologie da tenere sotto controllo medico. Le donne hanno perso la loro innata fiducia e capacità nel dare alla luce i propri figli e l’intero processo viene delegato ai dottori che decidono se, come e quando una donna potrà partorire per via vaginale o tramite intervento chirurgico. Il parto è diventato parte della megamacchina tecnologica con monitor, ossitocina sintetica, protocolli e tempi prestabiliti che non tengono conto della specificità di ogni coppia mamma-bambino. La nascita, che da sempre era considerata con profondo rispetto, è stata fagocitata dalla cultura dominante, la cultura patriarcale e tecno-medica che le donne non controllano ma dalle quali sono controllate.

Una nascita non rispettata è il primo grande trauma per ogni essere umano.

Leboyer, famoso ginecologo francese del secolo scorso, fu il primo a portare alla luce la disumanità del parto medicalizzato che diventa banalmente la fuoriuscita del feto dal corpo della madre senza amore, empatia, né partecipazione dell’uno e dell’altra.
Il bambino esce dal ventre materno – unico mondo a lui conosciuto – e si ritrova accecato da luci fortissime, assordato da voci sconosciute, manovrato da mani frettolose che lo lavano, lo scuotono, lo pesano su una fredda bilancia di metallo. Purtroppo, in molti casi, dopo questo shock tremendo ne segue un altro. Ad aspettarlo non ci sono le calde braccia della mamma ma la culla di un nido nella quale urlare e disperarsi, assieme a decine di altri esserini spaventati come lui.

Per la gestante il parto ospedaliero non è meno traumatico. La donna, come ogni altro mammifero, per partorire ha bisogno di un ambiente protetto, in cui si senta libera da ogni inibizione. L’ospedale non risponde a queste caratteristiche e spesso sortisce l’effetto opposto perché la partoriente è intimorita ed infastidita dalle luci, dal continuo via vai di gente, da visite mediche frequenti. Sottoposta a troppi stimoli, essa non riesce a spegnere la neocorteccia – la parte più razionale del cervello – per riconnettersi con la sua parte più antica e selvaggia e lasciare che il corpo si abbandoni senza timori al travaglio. Queste inibizioni dovute all’ambiente, spesso portano a parti più lunghi, dolorosi e che, di conseguenza, richiedono maggiori interventi medici.

Un parto non felice o troppo medicalizzato è un macigno da digerire per la neomamma che sarà portata a darsi la colpa di quanto successo. Il senso di fallimento e la frustrazione possono protrarsi per mesi, anche anni dopo la nascita del bambino e non favoriscono un inizio ottimale della loro relazione. Una madre che ha potuto godere di un parto sereno e rispettato sarà anche più sicura e fiduciosa nelle sue capacità di accudimento.

La buona notizia è che non è stato sempre così. C’è stato un tempo in cui il parto era un evento annoverato nella quotidianità, durante il quale le donne si aiutavano a vicenda e si tramandavano le pratiche dall’una all’altra.
La partoriente era assistita da amiche o parenti che avevano esperienza in merito. Queste partecipavano alle sue sofferenze a livello soprattutto emozionale: rassicurandola, incoraggiandola e mettendola a proprio agio.
Una donna supportata e rispettata sarà una madre più serena e fiduciosa.

Una nascita rispettata permette al bambino di non iniziare la sua vita con un trauma e di mantenere intatta la sua capacità di amare, di provare empatia e di relazionarsi col prossimo.
Un bambino sereno sarà un adulto sano, equilibrato e fiducioso.
Il mondo si può cambiare anche cambiando il modo di approcciarsi alla nascita.

 

 

Fonte: Giulia Zucchi


 

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