Uno straordinario esempio di cooperazione

Uno straordinario esempio di cooperazione in natura: in Colorado, negli Stati Uniti, coyote (Canis latrans) e tassi (Taxidea taxus) sono concorrenti, questi due carnivori condividono infatti lo stesso areale e le stesse prede (roditori e rettili) ma anziché farsi la guerra le due specie hanno però preferito cooperare nel reciproco interesse, dando vita ad un affascinante lavoro di squadra. La cooperazione tra le due specie è un fenomeno noto da tempo, sono invece relativamente rare buone immagini che documentano questo rapporto che potrebbe essere definito mutualistico. Con il termine “mutualismo” si intende una forma di cooperazione in cui due o più individui collaborano per svolgere un compito che da soli non riuscirebbero a portare a termine e da cui ricavano benefici. Coyote e tassi non si spartiscono le prede, perché allora vanno a caccia insieme? Perché la presenza contemporanea di entrambi i predatori aumenta le probabilità che almeno uno dei due catturi qualcosa. Anche se l’altro resta a bocca asciutta sembra che la collaborazione, nel lungo periodo, sia fruttuosa per tutti.

Coyote e tassi si integrano bene perché hanno differenti abilità venatorie, i canidi sono agili e veloci, sono dunque particolarmente abili nella caccia negli ampi spazi della prateria. I mustelidi sono invece più lenti e goffi, ma le loro potenti zampe, dotate di grandi artigli, gli consentono di scavare in qualsiasi terreno e stanare con successo gli animali che si rifugiano nel sottosuolo, come talpe e cani della prateria. Quando le due specie cacciano insieme uniscono le forze e riducono le possibilità di fuga della preda: se l’animale scappa in superficie viene inseguito dal coyote mentre se si rifugia sottoterra viene raggiunto dal tasso. Solo uno dei due predatori avrà successo, a seconda dell’opzione scelta dalla preda, ma nel complesso la collaborazione avvantaggia entrambi.

La cooperazione tra due specie non umane diverse per la sopravvivenza ed il procacciamento del cibo non fa che avvalorare la tesi secondo cui il paradigma più vicino al funzionamento della vita non è dunque la competizione, nella quale invece di risuonare si entra in collisione, ma la cooperazione, dove ogni partecipante all’attività comune trae beneficio dall’operato dell’altro. La cooperazione, strategia chiave della biologia, in questo caso travalica ed estende la biologia stessa diventando un fenomeno totalmente naturale e totalmente in antitesi con i principi di competizione tipici del sistema economico dominante all’interno della specie umana.

Ovviamente in natura esistono casi di competizione ma, al contrario di quello che si pensa, sono l’eccezione e non la regola. Oltre a questo di solito si tratta di competizione fra animali di specie diverse o magari della stessa specie ma che non hanno un comportamento sociale alla base delle loro necessità/abitudine, come ad esempio i rettili. Se invece parliamo di specie animali che sono solite avere un comportamento sociale con gli altri individui, come l’uomo, le competizioni sorgono solo in casi estremi e rarissimi come le lunghe carestie. Prendere come esempio queste eccezioni rare in tempi di crisi, riguardanti il più delle volte specie con cui abbiamo ben poco a che fare e farne uno standard di regole della vita quotidiana è quello che di più antisociale, illogico e suicida una comunità possa scegliere di fare. Non bisogna nemmeno confondere o ridurre la competizione a mero scontro tra preda e predatore, il più classico degli scenari di predazione, il leone contro la gazzella, non va inquadrato in un’ottica competitiva quanto piuttosto nel più classico processo biologico che è alla base della vita e dell’evoluzione stessa.

E’ stato anche il grande fisico italiano Emilio del Giudice, recentemente scomparso, a dire che la società si è costruita con delle leggi che non sono la conseguenza delle leggi della biologia ma le leggi dell’economia, cioè con leggi totalmente diverse. La legge della biologia richiede appunto la cooperazione, la legge dell’economia richiede invece la competizione, quindi in questo senso l’economia è intrinsecamente un fatto patologico, un fatto destinato a generare patologia e malattia.

In Unione Sovietica per esempio nonostante il comunismo c’era il trionfo della competizione tra gli esseri umani a causa del diffondersi dello stakhanovismo. Venne fatto un confronto tra i reparti dove erano presenti stakhanovisti e quelli dove non erano presenti. Il risultato è stato che erano più produttivi i reparti privi di stakhanovisti. Dove c’era lo stakhanovista lui produceva molto, ma gli altri erano demotivati e depressi per aver perso la competizione e più che produrre boicottavano il sistema. Nelle condizioni di cooperazione invece chiunque abbia una buona idea è portato subito a dirla agli altri, in pratica insieme ci si organizza beneficiando e risuonando ora dell’idea dell’uno ora dell’idea dell’altro.

In questo senso si può affermare che la specie umana non ha nemmeno la possibilità di formarsi ed essere definita tale in quanto sarebbe necessario che gli individui di una specie sociale come la nostra “risuonassero” tra di loro basando i propri rapporti su mutualità e fiducia reciproca. Questo ci viene completamente negato dalla struttura della società stessa che ci impone di considerare saggia, positiva e normale la competizione economica, ovvero l’esatto opposto della risonanza in quanto questa si basa su sfiducia e sfruttamento.

Com’è possibile infatti per un individuo risuonare con qualcun altro se tra loro c’è necessariamente competizione quando gli individui sono portati all’accumulo e al profitto rendendo alieno e persino deleterio qualsiasi gesto di bontà e condivisione?

Finché dunque esiste un regime economico e sociale fondato sulla competizione e non sulla cooperazione tra gli esseri umani il problema della salute e della felicità non potrà mai essere risolto.

 

 

Fonte: Sebastiano Alicata


 

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