“COMPLOTTISMO”

“Complottista”: nel linguaggio corrente indica una persona che crede ai complotti (e non una persona che li compie, per la quale invece non vi è termine).
Ma quali? Tutti i complotti? A prescindere dalle circostanze in cui si presume si siano verificati? Da quello riguardante l’11 settembre a quello dell’area 51?
E chi non è complottista crede dunque a tutte le versione governative/ufficiali della storia?
(O vale solo finché non si scoprono essere ufficialmente false?)
Quale sarebbe il comune denominatore che lega incontrovertibilmente tutti i complotti?
Mistero.
Tocca fare presente che si sta parlando di fenomeni che coinvolgono emozioni, corruzione, ambizione, volontà ed in generale rapporti umani incalcolabili, svariati tipi di interessi.

È troppo comodo creare un termine per ghettizzare chiunque faccia ipotesi fuori dalle righe su un qualunque argomento, un bel calderone con etichetta dispregiativa che permette di mettere sullo stesso piano il pensiero critico basato sull’analisi logica dei fatti e quello che cerca a prescindere la cospirazione del sistema in ogni avvenimento.

Quella che (visti i precedenti storici in termini di cospirazioni) dovrebbe essere una normale ipotesi investigativa, viene ridicolizzata a priori senza badare alle circostanze oggettive.
Quasi a dire “I poteri sono buoni ed il contrario non è contemplabile. E se mentissero non te ne saresti di certo accorto tu!”.

Si tende poi a mistificare i ruoli e le parti.
Quando qualcuno nota un dettaglio che non torna in una versione ufficiale è costretto, per essere preso in considerazione, a dimostrare come il governo ha mentito, quando lo ha fatto e perché. Altrimenti è soltanto un dettaglio insignificante.
Mentre se un civile si trova ad un processo e mente su un particolare, si mette immediatamente in dubbio la sua parola anche sugli altri dettagli e si comincia ad indagare finché non si capisce perché ha mentito.
Tornando alla prima situazione, questo non è un modo sano di essere scettici e di portare avanti un’ indagine, è solo sudditanza psicologica verso l’autorità.
Il fatto poi che siamo nel paese in cui è stata coniata l’espressione “strage di stato” rende il tutto ancora più paradossale.

Quando poi si ufficializza il complotto (che quindi non è più teoria), diventa cosa ovvia e si smette di considerarne le implicazioni.
Spesso è proprio questa l’unica differenza tra un “gombloddo” e un “fatto storico”: una quantità di anni sufficiente a far sì che la verità su un evento non rappresenti più un problema per il sistema.

Parlare di teorie del complotto in maniera generica significa parlare di tutto e niente. Sarebbe invece più logico scendere nel dettaglio di ogni ipotesi/teoria con argomenti dedicati. A quel punto si può valutare la credibilità dei fatti ed eventualmente ipotizzare alternative.
Però questo comporta un impegno che difficilmente si vede in chi vuole criticare il “complottismo”, ci si impegna piuttosto a fare coincidere forzatamente i fatti con la versione ufficiale.

Fonte: Mosca Bianca

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