OMICIDI DI MASSA LEGALIZZATI

Ieri, 72 anni fa, gli Stati Uniti sganciarono due testate nucleari. Si stimano in circa 230 mila i decessi complessivi.
Le bombe non vennero fatte brillare su obiettivi militari, ma su due città Giapponesi e senza preavviso: il 95% delle vittime furono quindi civili inermi tra i quali, ovviamente, donne, vecchi e bambini.

A confronto del cosiddetto terrorismo di oggi, queste cifre fanno venire i brividi e la metodologia di azione non ha nulla da “invidiare” alla violenza dell’estremismo fanatico di cui si macchia Daesh.

Si possono notare solo un paio di differenze: la prima è che la violenza perpetrata dagli USA in quell’occasione, e da tutti i Paesi coinvolti in tutte le altre guerre, comportano numericamente una perdita di vite umane tragicamente superiore a qualsiasi forma di terrorismo.

La seconda, ancora più grave, è che la guerra, cioè omicidi di massa legalizzati, è spesso considerata un male minore nel migliore dei casi, un atto dovuto e salvifico nel peggiore. Non si mette in discussione la guerra. Se lo fai sei un pacifista hippy, un idealista, un utopico sognatore. La violenza di stato diventa il male necessario, così come lo schiaffone del padre padrone che serve a drizzare il bambino. Altrimenti disobbedirebbe. Altrimenti sarebbe il caos.

Tutto questo mi ripugna e non può che essere l’estrema sintesi di come l’istituzione, qualsiasi istituzione, si frapponga tra gli individui e la loro morale, rendendoli capaci di giustificare orrori indicibili fino a farglieli commettere in prima persona solo perché assoggettati dalla forma più paralizzante di deresponsabilizzazione che esista. Automi che eseguono gli ordini del potere.

“Non sono orgoglioso di aver ucciso 80.000 persone, ma sono orgoglioso di essere partito dal niente, aver organizzato l’intera operazione e aver eseguito il lavoro perfettamente, la notte dormo bene”.
Paul Warfield, Jr. Tibbets: pilota dell’Enola Gay, l’aereo che sganciò la bomba atomica su Hiroshima.

Fonte: Mason Massy James

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