L’IGNORANZA NON E’ IL PROBLEMA

Immagini come queste sono all’ordine del giorno; rispecchiano un pensiero largamente diffuso, affermato. Non a caso, pur presentandosi talvolta come “rivoluzionario”, esso fa esattamente parte della “logica convenzionalista”.
Additare l’ignoranza come responsabile della degenerazione della religione, del potere, della libertà, del denaro e della povertà significa non aver compreso la natura degli stessi.

La religione non sfocia nella violenza solo in caso di ignoranza: essa, oltre a nutrirsi di ignoranza, è intrinsecamente violenta. A partire dalla forza coercitiva che esercita sul singolo individuo sin dalla più tenera età, che gli ordina cosa essere e cosa non essere, cosa fare e cosa non fare, fino ad arrivare alla messa in pratica delle parole contenute nei testi sacri (sessismo, specismo, omofobia, violenza contro gli “infedeli”, ecc.).

Il potere non diventa tirannia solo in caso di ignoranza. Cos’è, innanzitutto, la tirannia? L’assoggettamento a una dominazione più violenta e limitativa? Dunque, la dose fa il veleno? Il dominio dell’uomo sull’uomo (e non solo) non muta la sua natura in assenza di ignoranza e, anzi, con la sapienza scientifica esso estende e perfeziona la sua dominazione. Ma noi siamo ancora “così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni” (cit).

Ad impedire l’autoregolazione della libertà non è la mancanza di istruzione, ma una cultura, la nostra, basata su competizione e prevaricazione, su valori esclusivi (nazionalismo), su conflitti ideologici e religiosi, eccetera. Se cultura è sapienza scientifica, armi e ordigni nucleari sono suoi prodotti; se la cultura è dialettica, propaganda e raggiri per ottenere il consenso ne sono la conseguenza; se la cultura è conoscenza, lo sfruttamento del pianeta è ciò che ne deriva.
La cultura, nonostante sia considerata capace di contrastare i processi negativi della nostra società, spesso invece li amplifica. Non è dunque l’ignoranza il centro dei nostri problemi, né la cultura è la soluzione.

Il denaro non diventa di certo il perno dell’economia, dell’economicismo e della cultura dello scambio per colpa della mancanza di istruzione, e la corruzione è figlia proprio di tale cultura, non dell’ignoranza. La convinzione che tutto possa essere posseduto, acquistato e venduto ci ha portati, e non potrebbe essere altrimenti, a mercificare anche gli esseri umani. La corruzione, in confronto ai danni fatti dall’economia in maniera perfettamente legale (uno su tutti, l’inquinamento) è un problema irrilevante.

La povertà è innanzitutto una condizione esclusiva della civiltà. Essa, in natura, non esisterebbe: potrebbe esistere la penuria, ma non sarebbe una condanna a vita. Nella civiltà, invece, la povertà è perlopiù una condizione irreversibile (checché se ne dica in televisione per propagandare il modello capitalista), una condanna a vita (o a morte). Il crimine, dunque, non è figlio dell’ignoranza, ma di un sistema che è capace di creare la povertà, la relativa emarginazione sociale e quindi la necessità di infrangere la legge.

A prescindere da cosa ognuno potrebbe intendere per cultura, visto che sono più o meno tutti d’accordo che tutto è cultura, è semplicistico pensare che questa possa essere la soluzione a tutti i mali del mondo. Bisogna sempre tener presente che la comprensione non è cultura: la comprensione è empatia, connessione, pace, ovvero tutte cose che non hanno a che fare con la cultura in senso stretto, anzi, vengono minacciate da quest’ultima. La cultura è una forma di repressione della comprensione, un suo inscatolamento massificato da un potere costituito come appunto possono essere la religione, l’economia e l’istituzione. Incolpare l’ignoranza equivale a rendere neutri tali poteri, quando la loro storia, la loro struttura, i loro principi cardine e i loro fini ci dicono che non c’è alcuna neutralità in essi.

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