Meritocrazia?

La professoressa di Storia Contemporanea all’Università della Sorbona Chantal Jaquet ha affermato che il merito è un’etichetta sociale, un’invenzione politica usata per mantenere l’ordine sociale che i governi non sono fisiologicamente in grado di garantire.

Nel sistema del merito si crede che chi detiene il successo abbia evidentemente delle qualità aggiuntive rispetto a chi fallisce poiché si sarebbe sforzato di più, si sarebbe impegnato di più e quindi ha conquistato di diritto un posto più alto nelle classi sociali. Per dare valore a questa visione della realtà, vengono continuamente mostrati esempi di persone che si sono fatte da sole, che sono arrivate “in alto” dal nulla, che ce l’hanno fatta come fosse la regola, quando invece si tratta di rarissime eccezioni comunque dettate dal caso. Il sistema del merito serve dunque a celare l’intrinseca iniquità del sistema politico economico, riversando l’intera responsabilità del fallimento sul singolo individuo.

L’illusione della meritocrazia funge sia da “carota motivazionale”, sia da sedativo alla rabbia quando non si raggiunge il successo tanto agognato, poiché lo si percepisce come insuccesso personale e non come ingiustizia. Nella società attuale il raggiungimento dello status di ricchezza dipende principalmente da fattori casuali e direttamente proporzionali alla capacità di saper sfruttare o di ignorare la sofferenza altrui e i danni che si creano. Una struttura basata sulla competizione porta a risultati sociali e ambientali nefasti che si possono osservare ormai ovunque. Socialmente però la competizione viene premiata, alimentata e promossa, cosa che influenza la mentalità delle persone coinvolte e modula le sue relazioni e percezioni.

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