L’innata socialità della specie umana
L’analisi della socialità innata della specie umana da un punto di vista scientifico richiede di annoverare gli studi effettuati sui neuroni specchio. I neuroni specchio sono stati scoperti tra gli anni ‘80 e ‘90 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, capitanati dal neurofisiologo Giacomo Rizzolatti. Il gruppo di ricerca di Rizzolatti stava studiando l’attività motoria delle scimmie dal punto di vista neurologico e si è imbattuta per caso nell’osservazione di uno strano fenomeno: quando una scimmia prendeva in mano un oggetto si attivava, come è facile intuire, una parte del cervello dedicata a quell’azione motoria, ma alcuni neuroni della stessa area si attivavano (in gergo si dice “sparavano”) anche quando la scimmia vedeva compiere la stessa azione a qualcun altro.
Gli studi di Rizzolatti sono poi proseguiti su volontari umani, dimostrando che il fenomeno dei neuroni che “sparano” quando si vede compiere ad altri azioni che conosciamo, riguarda anche l’essere umano. I neuroni specchio (così li ha denominati il team di Rizzolatti) non “sparavano” solo durante l’osservazione di azioni fredde come muovere un oggetto, prenderlo, ecc. ma anche durante l’osservazione di azioni calde ad esempio quando si osservava qualcuno provare disgusto. Infatti lo stesso Rizzolatti ha sottolineato quanto sia importante l’impatto neuronale di azioni calde come il pianto o la risata, il dolore e la paura. Banalmente è un’esperienza che tutti vivono quando ad esempio si provano le stesse sensazioni dei protagonisti nei film. In definitiva l’essere umano è in grado di riprodurre automaticamente a livello neuronale quello che vede fare agli altri. Questa scoperta è stata sconvolgente, lo stesso Rizzolatti non ha voluto divulgarla fino a che non è stato certo dei risultati delle sue ricerche. Attualmente è considerata una delle più grandi scoperte della scienza in questo ramo. In definitiva si può affermare che Rizzolatti abbia scoperto le basi neurologiche e biologiche dell’empatia. Oggi pensiamo di essere naturalmente tendenti all’egoismo e alla competizione nonostante il fatto, ormai scientificamente ed antropologicamente accertato, che dal punto di vista biologico la specie umana riproduce fedelmente ciò che accade agli altri nel suo apparato neuronale. L’essere umano quindi dovrebbe tendere naturalmente alla creazione di un ambiente collaborativo attorno a sé, in cui tutti hanno ciò di cui necessitano e in cui tutti sono felici, perché la felicità e il benessere altrui risuonerebbero tra tutti gli individui. In un sistema competitivo come il nostro invece, il vantaggio di qualcuno significa necessariamente lo svantaggio e l’infelicità di altri che quindi risuonano negativamente in tutti gli individui della collettività. Se un essere biologicamente predisposto all’empatia e alla collaborazione si comporta in controtendenza rispetto a queste attitudini, significa che qualcosa lo sta inducendo a compiere azioni contro il suo istinto e con estrema probabilità questo lo porta a vivere una vita satura di paure e di stress. Praticamente è ciò che accade continuamente oggi nelle vite di tutti. Rizzolatti infatti afferma: “Effettivamente dobbiamo tener presente che noi abbiamo meccanismi innati, ma poi la cultura gioca un ruolo enorme. Cioè, se io ho un meccanismo per cui voglio bene al prossimo, ma poi la società mi dice ‘no, fregalo, distruggilo’ possono succedere cose tremende”.
In questo post abbiamo parlato di elementi emersi da contesti e condotte che non supportiamo e che contestiamo apertamente, nello specifico l’utilizzo di animali come cavie da laboratorio. Noi aborriamo tale pratica sia per motivi etici che pratici ma siamo anche convinti che ignorare le evidenze scientifiche che ne sono emerse, in virtù di questa nostra posizione, renderebbe completamente vana la sofferenza degli animali coinvolti. È necessario fare anche un discorso generale sull’approccio scientifico. Crediamo che l’attitudine della scienza a frammentare la realtà in settori rischi spesso di far perdere di vista il quadro generale, limitandosi a fornire dei dati parziali che scambiamo con la verità. Per questo riteniamo che le ricerche scientifiche vadano sempre corroborate da ragionamenti logici e da evidenze di altro tipo.
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