Un mondo di schiavi per il “benessere” di pochi.
La tecnologia in realtà assomiglia a un iceberg in cui la punta, visibile, rappresenta il beneficio percepito (non reale, percepito) che ne traiamo. La parte sommersa e nascosta, molto più ampia, rappresenta invece quello che paghiamo per avere quel presunto beneficio.
Applicando questo esempio a una tecnologia comunemente usata come lo smarthphone, sotto la superficie dell’acqua avremo dipendenza, danni al cervello, danni agli occhi, violazione della privacy, controllo, persone che si suicidano nelle fabbriche o che scavano nelle miniere, distruzione della socialità, diminuzione della soglia d’attenzione, obsolescenza programmata, inquinamento da plastiche e metalli rari, esposizione alle onde, deformazione del territorio per posizionare le antenne…
E’ difficile percepire tutto questo quando lasciamo i nostri preziosissimi commenti su qualche social.
Certo, non si può negare che molte tecnologie siano utili e semplifichino la vita ma spesso il loro presunto beneficio esiste solo in quanto una precedente invenzione tecnologica aveva modificato il nostro modo di vivere e ha reso necessaria l’innovazione se non addirittura indispensabile.
Questo è un altro aspetto molto sottovalutato: la subdola coercizione fatta passare per possibilità. Abbiamo la percezione che le innovazioni tecnologiche si basino sulla libera scelta di usarle o meno, cioè una possibilità in più che non ci toglie nulla. Questo non è quasi mai vero e sicuramente non lo è per le innovazioni più importanti che trasformano radicalmente la nostra società, i nostri comportamenti, le nostre abitudini, che noi lo vogliamo o meno.
Nessun telefonino, auto elettrica, esplorazione spaziale, congegno medico, esisterebbe se non esistesse un mondo di schiavi che lavora per una stretta minoranza che poi chiama questo stato di cose “benessere”.
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