“Bombe” dell’Antropocene

Due notizie in questo periodo sono arrivate come rintocchi di campane che suonano a morto da parecchio tempo. Ogni rintocco, anziché essere una triste melodia che ci accompagna verso l’estinzione, dovrebbe essere un suono spaventoso che ci risvegli dal coma delirante in cui siamo piombati come umanità.

La prima notizia è questa: finalmente l’acqua è quotata in borsa assieme a oro e petrolio. Ha iniziato la California. Adesso si potrà investire sull’acqua come risorsa. Investire in borsa significa scommettere, scommettere sulla domanda e offerta di un bene, in questo caso l’acqua. Ed è una scommessa vincente perché più una cosa è rara e più cresce il suo valore. Con l’aumento demografico e i cambiamenti climatici la scarsità dell’acqua è quasi una cosa certa. Ancora una volta le statistiche finanziarie ed economiche potranno schizzare in alto per aumentare il paradosso stridente con un mondo sempre più povero di ciò che serve davvero.

La seconda notizia è questa: una nuova ricerca scientifica pubblicata su Nature spiega come la massa di cose prodotte dagli esseri umani ha superato la massa di tutte le specie viventi. Il calcolo è stato fatto stimando quella che è chiamata “massa antropica” cioè la massa incorporata in oggetti solidi inanimati prodotti dall’uomo, rifiuti esclusi. Da sottolineare: rifiuti esclusi. Quindi parliamo di plastica, elettronica, edifici e infrastrutture composte da calcestruzzo, aggregati, mattoni, asfalto, ecc. La massa di quello che produciamo ha superato la massa composta da tutti gli altri esseri viventi sul pianeta, piante comprese.
All’inizio del XX secolo, la “massa antropica” era pari solo a circa il 3% della biomassa totale del mondo. In cento anni l’abbiamo raggiunta e superata.
Ancora più paradossale se si pensa che l’essere umano rappresenti solo lo 0,0001% della biomassa terrestre.
I ricercatori scrivono che “Dalla prima rivoluzione agricola, l’umanità ha più o meno dimezzato la massa delle piante”. Quindi in 10 mila anni abbiamo estinto il 50% della vegetazione del pianeta.
I dati mostrano che il peso dell’impronta umana ha dei picchi: in periodi di ripresa economica ci sono aumenti anche del 5% l’anno, mentre nei periodi di recessione abbiamo dei cali. Ancora un altro indice di come, quando i meccanismi su cui si basa la nostra civiltà faticano a girare, il pianeta respira; quando invece la civiltà riprende la sua marcia e accelera, divora animali, piante e benessere reale degli esseri umani, portandoci sempre più velocemente al collasso.
Lo studio si unisce al sempre più corposo coro di scienziati che propone di chiamare “Antropocene” l’era geologica in cui viviamo perché i cambiamenti climatici e strutturali del pianeta sono causati per la maggior parte da un’unica specie, la nostra, o meglio sono causati dalla macchina tecno-industriale da cui dipendiamo e di cui siamo succubi.

 

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