LE MURA DELLE CITTÀ STATO

Anche le prime città-stato, fondamento della civiltà, che molti addirittura considerano una espressione naturale dell’essere umano esattamente come i nidi per le rondini, non sono nate come spesso viene narrato, cioè grazie alla collaborazione di essere umani che hanno scelto liberamente questa strada, ma sono nate esclusivamente come forme accentrate di potere brutale che letteralmente strappavano manodopera umana e animale dalle terre libere per soggiogarle al sistema civile di lavoro, tasse, obbedienza.

Come afferma James C. Scott, professore di scienze politiche alla Yale University, le mura che cingevano le prime città, più che per la difesa servivano a non far fuggire chi viveva al loro interno. Il famoso codice di Hammurabi, citato spesso come uno dei cardini che ha dato inizio al sistema legale, contiene un enorme numero di leggi che prevedevano ammende e punizioni per chi fuggiva dalla città. Quelle mura che trattenevano le persone all’interno del giogo per servire il padrone poi si sono concettualizzate nel nazionalismo, ossia in una propaganda volta a rendere quelle stesse mura qualcosa di inclusivo a beneficio di chi si trovava all’interno, mentre i pochi che davvero ne beneficiavano si sfregavano le mani. Questa stessa propaganda si è poi applicata anche al concetto di civiltà in generale dividendo ciò che è civile (buono) da ciò che è selvaggio (pericoloso).

L’antropologia moderna ha chiarito più volte che il “modello civilizzato” si è potuto espandere solo attraverso violenza e coercizione in un periodo di transizione molto lungo e travagliato, in cui è stato osteggiato e talvolta persino aspramente rifiutato dalle comunità libere e nomadi che ne percepivano l’insensatezza e la violenza rispetto alla vita “naturale” vissuta sino a quel momento. Esse venivano risucchiate violentemente nei meccanismi della civilizzazione, la quale disponeva di mezzi ben più “convincenti” per annichilire le forme di libertà e i modelli diversi rimasti fuori dalle “mura degli stati”.
La “civiltà” non è stata dunque il frutto di una evoluzione liberatoria dell’essere umano. Essa è l’evidente messa in opera brutale del potere e del dominio nelle loro accezioni più ampie e coercizzanti.

Tutti i luoghi comuni sulla violenza degli esseri umani “preistorici”, sull’essere umano “cattivo di natura”, sulla guerra che sarebbe “nel nostro DNA”, servono proprio a non mettere in discussione la strada che si è intrapresa, anche quando ormai è evidente quanto sia fallimentare, insostenibile e incapace di soddisfare i bisogni dell’essere umano, nonché quanto sia molto più violenta, insensata e iniqua rispetto alla vita allo stato di natura. Queste convinzioni sono paralizzanti: se ci si convince della natura malvagia dell’essere umano ogni tentativo di soluzione alle storture del sistema sarà inutile, perché o si accettano i problemi passivamente perché “l’essere umano è fatto così e quindi non ci si può fare nulla”, o si cercherà di fare qualcosa ma sempre attraverso mezzi di coercizione e controllo (contro la sua presunta natura cattiva) quindi attraverso leggi, cultura, presunte illuminazioni spirituali, morale, controllo psichiatrico, ecc., cioè con elementi che invece manterranno in vigore quei meccanismi di conformismo e gerarchia ma anche di deresponsabilizzazione, eteronomia e competizione che generano i problemi che teoricamente dovrebbero risolvere.

Presentazione Manifesto

Presentazione Autopsia dell’Essere Umano

Presentazione di Critica radicale alla Civiltà

 

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