DONNA: IL DIRITTO AD AUTODETERMINARSI IN AMBITO PROCREATIVO

Quando si parla del diritto della donna ad autodeterminarsi in ambito procreativo, troppo spesso ci si dimentica che non c’è solo in gioco il benessere psicofisico della donna ma anche quello del nascituro. Ovviamente nel caso in cui la donna decida di portare a termine la gravidanza.

In virtù del fatto che tuttora le donne rappresentano purtroppo una categoria discriminata e che necessita di tutele, si corre il rischio di “eccedere” con le premure a scapito di colui o colei che verrà al mondo.
Il corpo della donna ha una sua propria saggezza che le permette, nella maggior parte dei casi, di portare a termine una gravidanza ed un parto in maniera ottimale. Che le donne stesse sentano il bisogno di aiuto nel dare la vita, è frutto della mentalità patriarcale secondo la quale il corpo della donna è difettoso e va riparato. Questa visione si sposa perfettamente con il sistema di meccanizzazione dell’esistenza nel quale viviamo, che ci vuole malati e bisognosi di cure anche quando non lo siamo. Il dolore del parto viene tuttora identificato come una sorta di punizione divina dalla quale bisogna cercare di tutelarsi con tutti i mezzi possibili.

Ciò non significa che tutte le donne debbano partorire per forza come si faceva mille anni fa. Tutte le donne dovrebbero però avere la consapevolezza che, in condizioni favorevoli, sarebbero perfettamente in grado di farlo. Con “condizioni favorevoli” mi riferisco al maggior rispetto possibile per i tempi della partoriente e del bambino, e al minor numero possibile di interventi medici standardizzati – e quindi applicati a tutte le gestanti indiscriminatamente.

La storia dell’analgesia da parto inizia più o meno nel 1850, quando la regina Vittoria partorì sedata dall’etere. La regnante non fu la prima donna sotto effetto di anestetici durante il travaglio ma fu colei che rese questa pratica popolare. Da quel momento, le donne pensarono di essersi finalmente liberate dalla punizione divina che le condannava a dare la vita patendo atroci sofferenze.
Agli inizi del ‘900, un medico tedesco inventò una nuova forma di anestetico: il sonno del crepuscolo – in inglese twilight sleep. Questo anestetico era caratterizzato da insensibilità al dolore senza perdita di coscienza, attraverso un’iniezione di morfina e scopolamina. Questa combinazione induceva uno stato semi-narcotico che cancellava la memoria del parto. Inizialmente, il sonno del crepuscolo incontrò grande scetticismo da parte della comunità medica perché era un metodo di analgesia pericoloso, che poteva avere seri effetti collaterali sulla salute della mamma e del bambino. Negli Stati Uniti però nacque ” The National Twilight Sleep Association” che chiedeva la possibilità di avere accesso a questa droga miracolosa, contro l’oppressione dei medici che volevano negare alle donne la possibilità di un parto privo di dolore.

L’uso del sonno del crepuscolo su larga scala, causò spesso nelle donne delirio, crisi psicotiche e autolesionismo. In molti casi le partorienti dovevano essere legate al letto per evitare che si facessero del male e vi restavano, giacendo tra vomito ed escrementi, finché il travaglio non aveva fine. Nel bambino si registrarono effetti depressivi sul sistema nervoso centrale.
Oggigiorno, i rischi dell’epidurale somministrata durante il travaglio sono ben documentati nella letteratura medica ma non sempre vengono comunicati correttamente alla partoriente. Spesso, la soddisfazione per la soppressione del dolore non coincide con la soddisfazione globale della nascita. L’epidurale infatti interferisce in modo significativo con alcuni degli ormoni più importanti per il travaglio e la nascita. Il rilascio di ossitocina, ad esempio, viene inibito non permettendo il raggiungimento di quei picchi elevati che si hanno con la fase finale e che permettono l’innamoramento tra mamma e bambino. L’ossitocina è stata definita anche “ormone dell’amore” perché ha un ruolo fondamentale nella formazione di quello che sarà il legame affettivo tra mamma e bambino, facendo sì che la madre si innamori letteralmente del proprio figlio e rendendole così meno gravoso l’accudimento. I parti con analgesia inoltre registrano maggiori difficoltà in fase espulsiva e un aumento del rischio di parti operativi (forcipe e ventosa). Per il bambino, una nascita operativa può aumentare i rischi a breve termine di ematomi, ferite al viso e deformazioni del cranio.

Le donne che si sottopongono all’epidurale hanno maggiori possibilità di incorrere in un’emorragia post partum, a traumi del perineo o all’inibizione ormonale menzionata sopra. Alcuni degli effetti più significativi sul feto derivano dagli effetti sulla madre: squilibri ormonali, alterata pressione sanguigna e variazione del battito cardiaco del nascituro. Ogni farmaco somministrato durante il parto passa, attraverso la placenta, al bambino che è più vulnerabile agli effetti tossici. L’abilità di un bambino appena nato di metabolizzare ed eliminare i farmaci è nettamente minore di quella di un adulto. Alcuni studi comparativi tra bambini esposti all’epidurale e bambini non esposti a farmaci durante la nascita hanno rilevato che i primi stavano meno svegli ed erano meno capaci di orientarsi, nel primo mese di vita. Ora che conosciamo molto bene l’importanza del primo contatto mamma-bambino immediatamente dopo la nascita, viene da chiedersi quale possa essere la qualità di tale contatto quando si ha a che fare con un bimbo disorientato.

Anche l’allattamento rischia di incontrare maggiori difficoltà. È molto importante attaccare al seno il bambino subito dopo la nascita per stimolare la sua innata competenza alla suzione. Se il neonato è stato sottoposto ad epidurale tenderà ad avere una suzione meno efficace e ad addormentarsi più facilmente al seno, non portando a termine la poppata. I bambini nati con epidurale hanno quindi minori possibilità di venire allattati esclusivamente al seno. L’allattamento al seno è fonte di innumerevoli benefici per la salute psicofisica sia della mamma che del bambino ed andrebbe quindi incoraggiato il più possibile. Il latte materno è specie specifico ed è l’unico alimento che il neonato dovrebbe assumere almeno per i primi 6 mesi di vita. Cambia composizione durante le varie fasi di crescita del lattante e si modifica secondo le sue esigenze specifiche. Ad esempio se il bimbo ha un’infezione in corso, il latte che riceverà sarà composto dagli anticorpi materni che lo aiuteranno a sconfiggere l’infezione e a rinforzare quindi il suo sistema immunitario. L’allattamento previene futuri disturbi come il diabete, le allergie e l’obesità e, non secondariamente, facilità la creazione di un forte legame con la madre. Anche la mamma beneficia notevolmente nell’allattare il proprio bambino. L’allattamento riduce il rischio di tumore al seno, di tumore alle ovaie, previene e riduce il rischio di contrarre il diabete in età più avanzata e stimola le contrazioni uterine che le permettono di tornare alla normalità più in fretta.

Spesso il personale ostetrico ritiene che il sollievo dal dolore sia la più grande preoccupazione delle partorienti e che un’analgesia efficace assicuri una maggiore soddisfazione del parto. In realtà, molti studi hanno dimostrato che le donne che non hanno fatto ricorso a farmaci sono le più soddisfatte della loro esperienza.
Basta “solo” avere fiducia nel proprio corpo.

Fonte: Giulia Zucchi

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