PRIGIONIERO O SCHIAVO

Mi è capitata davanti l’immagine di un ragazzo appena assunto da McDonald’s. I commenti alla sua foto erano a senso unico: tutti si complimentavano con tono di festa e orgoglio per questa conquista.
Uno spaccato della nostra società in cui un adolescente “si realizza”, “diventa un uomo”, “raggiunge l’indipendenza” grazie al lavoro.

La realizzazione passa quindi attraverso l’essere costretti a fare qualcosa a cui difficilmente si ambiva e farlo tutti i giorni ad orari prestabiliti.
Il diventare adulto significa riuscire a vendere qualcosa, non importa se è il tuo tempo, la tua energia, un panino o il proprio genio artistico, qualcosa si deve vendere.
L’essere indipendenti si concretizza attraverso il non dipendere più dai genitori ma dal proprio lavoro quindi, in pratica, passando dallo smettere di dipendere dalle persone che ti amano e vogliono prendersi cura di te, al dipendere da situazioni esterne come il mercato e perfetti sconosciuti come il datore di lavoro o i clienti. Eppure la chiamiamo indipendenza.

Tutti siamo, in misure diverse, complici di questo sistema, ma una grossa differenza alla base la fa il sentirsene prigionieri piuttosto che schiavi, una differenza che sta nel rendersi conto dello stato di cattività che il sistema produce e di cui si nutre.
Infatti uno degli aspetti più tragici sta nel fatto che tutto questo non viene nemmeno vissuto come un’onta a cui sottostare per strappare qualche ora di finta libertà la sera e nei weekend, no, viene osannato e considerato qualcosa di cui andare fieri. Una conquista.

Sindrome di stoccolma: “Il soggetto affetto dalla Sindrome di Stoccolma, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice.”

Fonte: Mason Massy James

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